GROTTA MONASTICA
La grotta risulta scavata nella collina, definita strutturalmente in un vano unico longitudinale, articolato da quattro archi acuti e ribassati, di rinforzo in muratura, con messa in opera dei materiali, uso costante di laterizi, posti di taglio; tali archi, di spessore diverso (aumenta la larghezza sempre più verso il fondo), hanno una chiara funzione strutturale, archi di contenimento e di scarico della roccia nella quale l’ambiente è ricavato; gli archi, in mattoni, si impostano su semipilastri in pietrame squadrato che articolano i lati del vano creando una vivacità architettonica seppur semplice ed essenziale.
All’altezza dell’imposta dell’arco si notano degli alloggiamenti destinati a strutture mobili, probabilmente anche a soppalchi destinati ad articolare meglio l’organizzazione di tale magazzino. I semipilastri in muratura sembrano far parte di una fase di ristrutturazione del locale, visto che uno di essi oblitera una nicchia ancora visibile (prima dell’opera di ristrutturazione) e, probabilmente destinata ad ospitare luminarie o altro.
L’ambiente presenta una “foderatura” di grosse pietre squadrate con abbondante malta, ai lati per circa 2 m. dal piano di calpestio, mentre tale rivestimento ricopre l’intera parete di fondo. Il vano, con la sua architettura, non può essere cristallizzato in un modello architettonico definito, ma risulta essere una vera e propria sperimentazione senza escludere confronti con strutture cistercensi di produzione non lontane, come la vicina abbazia del Sagittario o il Ventrale.
Questo ambiente va interpretato come spazio dedicato al lavoro in riferimento allo stoccaggio e alla conservazione di prodotti agricoli, in particolare il vino, proprio ad essa si riferiscono le Platee, la prima (relativa al biennio 1577-1578) ricorda: «una grotta fuor dal Palazzo et dell’entrata della Vigna» specificando «in luogo detto La strada della Croce nella qual Grotta si conservano li vini della Vigna dell’Abbadia»; la seconda (relativa all’anno 1741) conferma, «la Grotta o sia cella vinaria della badia sita a canto detto Pozzo».
Dalla citata Platea del 1577-78, inoltre, si legge, tra i molteplici possedimenti del cenobio: «un palazzo contiguo al Monastero et chiesa di S. Elia con diverse membra sotto, e sopra, e con molte comodità necessarie». E ancora, «una grotta con tino e palmento di legno oltreché molte botti grosse». Al di sopra di tale grotta, infine, vi era «una stalla della capacità di cavalli dodici».
Queste testimonianze spingono a cercare un approfondimento tramite uno studio archeologico fin ora assente. Il Lombardi, nel 1832, si auspicava per tutta l’area: «che ubertosi frutti darebbero gli ulteriori scavi di sì classica regione, ove si proseguissero da persone fornite di genio, di mezzi e d’istruzione, e che non fossero attraversati nelle loro magnanimi intraprese da odj e gare municipali, e da altri non preveduti ostacoli». Quel monastero è, ancora oggi, “raccontato” solo da resti che ispirarono lo Spena (nel 1831), a conclusione della sua opera, il verso virgiliano Seges est ubi Troia fuit.